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DUEL

// // The marvelous cinematographic magazine of the 90s

Words by Sofia Tieppo

When I found some copies of Duel I don’t know exactly what it was. Editions of ’99, full of text, without advertising. It’s a magazine with a long and important history, which from ’93 comes to 2003, changing its name into “ duellists” and then throw itself uniquely in the digital world with “Duels”. Unlike specialized magazines like Cineforum or Segnocinema, the project directed by Gianni Canova widened his thoughts to a wider context, embracing topics that started from cinema to catch a series of cultural mechanisms. Duel, in fact, was a monthly magazine and a culture of image.


While the digital Duels reviews the Trainspotting sequel and shows a star system rising up the new president of US, in ’99 the paper magazine questioned the importance of the suspension of public funding to Italian cinema. Amendment that would have revealed who was still ready to risk for cinema, due to the fact that, considering it a necessity, directors, writers and actors would still found a way to make it happen. Speaking of production, meanwhile Raicinema was born, ready to invest billions in productions but, you know, this productions faced with television. A different scenario from the one desired by those who loved independent cinema.


Still in ’99, the 52nd  Cannes Film Festival has seen a Sophie Marceau clumsy and criticized that delivers the Palme d’Or to Pedro Almodòvar. He was furious for having only won the award for best director and tries to remedy sharing it with colleagues Ripstein, Egoyan and Lynch, matters that not even Adele at the Grammy. We have titles such as The Letter by De Oliveira, The Virgin of the suicide by Sofia Coppola, Moloch by Sokurov and All About My Mother by Almodóvar. The issue we’re talking about presents on cover a scene of The body of the soul by Salvatore Piscicelli, with the theme “Dedicated to those who undresses” explains how to dress and undress are symbols that, for film industry, run through a process that comes from the character to the icon. Better: clothes, which once helped to build a particular character, become icons of the same. They are the heart-shaped glasses of Lolita and the suit of the Blues Brothers, to do a couple of examples. Same thing for the summer issue, which is for clothes and skin what the cinema was for the 20th  century: the world’s dress.

“Together with the doubt that the world (and things) are in turn doing the striptease, and they’re stripping off cinema. Or that cinema is being stripped of the world, and that it makes  film only over its being a dress.”

Gianni Canova

To close this brief and inconclusive exscursus, I found a short article by Violetta Bellocchio about the names of movie theaters.
The Apollo, for example, exists in almost all Italian cities, while in the north are highly popular epithets that refer to an abstract brightness: Astra, Splendor, Rainbow. The bar rises as we go down to the south, with names that evoke an absolute power: Olimpia, Augustus, Admiral. And yes, the parish halls that are greedy of saints. But still no God and Satan, so far.

This a taste, a little one, of what has been Duel.


Quando mi sono ritrovata tra le mani delle copie di Duel non sapevo di preciso cosa fosse. Sono edizioni del ’99, fitte di testo, senza pubblicità. Si tratta di una rivista con una lunga e importante storia, che dal ‘93 arriva al 2003 cambiando il suo nome in “duellanti” per poi proiettarsi unicamente nel mondo digitale con “Duels”. A differenza di riviste specialistiche del settore come Cineforum o Segnocinema, il progetto diretto da Gianni Canova allargava le sue riflessioni ad un contesto più ampio, abbracciando così temi che partivano dal cinema per cogliere una serie di meccanismi culturali. Duel, infatti, era un mensile di cinema e cultura dell’immagine.

Mentre il digitale Duels recensisce il sequel di Trainspotting e mostra uno star system in rivolta verso il nuovo presidente degli States, nel ‘99 la rivista cartacea s’interrogava sull’importanza della sospensione dei finanziamenti pubblici al cinema italiano. Emendamento che avrebbe rivelato chi con il cinema fosse ancora disposto a rischiare, per via del fatto che, considerandolo una necessità, registi, sceneggiatori  e attori avrebbero trovato comunque un modo per realizzarlo. Parlando di produzione, nel frattempo nasceva Raicinema, pronta ad investire miliardi delle carissime lire in produzioni che però, si sa, avevano a che fare con la televisione. Uno scenario diverso da quello desiderato da chi il cinema lo amava indipendente.

Ancora nel ‘99 il 52esimo festival di Cannes ha visto una Sophie Marceau maldestra e criticata consegnare la Palma d’oro a Pedro Almodòvar. Il regista furioso per aver vinto solo il premio per la miglior regia, cerca di rimediare condividendolo con i colleghi Ripstein, Egoyan e Lynch, cose che neppure Adele ai Grammy. Girano titoli come La Lettera di De Oliveira, Il giardino delle vergini suicida di Sofia Coppola, Moloch di Sokurov e Tutto su mia madre di Almodòvar. Il numero in questione presenta in copertina una scena de Il corpo dell’anima di Salvatore Piscicelli, con il tema “Dedicato a chi si spoglia” spiega come vestirsi e svestirsi siano dei simbolo che nel cinema percorrono un iter che dal personaggio arriva all’icona. Meglio: gli abiti, che una volta contribuivano a costruire un determinato personaggio, diventano icone dello stesso. Lo sono gli occhiali a forma di cuore di Lolita e il completo dei Blues Brothers, per fare un paio di esempi. Così il numero estivo, che fa per gli abiti e la pelle ciò che il cinema è stato per il Novecento: l’abito del mondo.

“Assieme al dubbio che il mondo (e le cose) stiano a loro volta facendo lo streaptease, e che stiano spogliandosi del cinema. O che il cinema si stia spogliano del mondo, e che faccia film solo sul proprio essere abito.”

Gianni Canova

Per concludere questo breve e sconclusionato exscursus, ho trovato un trafiletto di Violetta Bellocchio sui nomi delle sale cinematografiche.

L’Apollo, per dire, esiste in quasi tutte le città d’Italia, mentre al nord sono gettonatissimi epiteti che si rifanno ad una luminosità astratta: Astra, Splendor, Arcobaleno. L’asticella si alza man mano che si scende verso il sud, con nomi che evocano un potere assoluto: Olimpia, Augustus, Admiral.  E poi sì, le sale parrocchiali che di santi ne vanno ghiotti. Ma ancora nessun Dio e nessun Satana, finora.

Questo un assaggio, piccolino, di ciò che è stato Duel.


Special thanks to Silvia Zanolli

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